Censura in Russia
“È vietato parlare di guerra, è un reato sollecitare sanzioni contro la Russia e scrivere articoli che discreditino le forze armate. Chi invece racconta che è in atto un’operazione militare speciale per fermare il genocidio di chi parla russo in Ucraina, può invece continuare a farlo”.
È questo il testo di legge che, solo pochi giorni fa, ha annunciato una stretta sull’informazione russa, giustificata con la necessità di evitare tutte le fake news riguardanti uno tra i paesi che, già prima della guerra, aveva la minore liberà di stampa in tutto il mondo.
Se inizialmente la censura riguardava “solo” radio, televisioni e giornali russi, ora si è allargata anche ai giornali stranieri venduti nel paese, tanto da restringere l’accesso ad alcuni media internazionali quali la BBC e la CNN, che alla fine hanno deciso di ritirare i propri giornalisti dalla Russia, per la loro sicurezza.
Nel Paese sono stati bloccati Instagram, Facebook e Twitter; mentre con TikTok le misure sono andate ben oltre la censura, sconfinando nella propaganda: alcuni influencer sono stati pagati per diffondere l’idea della guerra che la Russia vuole imporre. Anche se molti giornalisti hanno reso chiaro che esiste ancora la stampa di opposizione e che questa non si tirerà indietro per via delle minacce, è ovvio che restare informati in Russia, in modo oggettivo su quanto succede, sia diventato quasi impossibile, vista la velocità con la quale il paese si avvicina alla disconnessione totale.
La censura, purtroppo, è un triste dejà vu, un fenomeno che ha segnato alcuni periodi della nostra storia, che abbiamo ampiamente condannato e – credevamo – superato.
L’informazione giornalistica, infatti, è sempre stata un mezzo che, proprio per il suo ruolo di diffusore delle notizie, ha finito per essere usato e manipolato dai governi di diversi paesi. La storia della censura inizia già al tempo delle poleisgreche e dell’Impero Romano, ma non è necessario andare così lontano per trovare limitazioni alla libertà di espressione: basta guardare alla fascistizzazione che, prima e durante la Seconda Guerra Mondiale, è stata imposta in Italia ai giornali e alle neonate radio di quegli anni. Sin dal 1923, infatti, la stampa italiana fu assorbita da strutture governative autorizzate e allineate ideologicamente con il pensiero fascista. Poi, nel 1925-1926, con le leggi fascistissime, la censura si accentuò fino a consentire soltanto giornali il cui responsabile era riconosciuto dal Prefetto. Il giornalismo perse tutto il suo significato, poiché assunse solo finalità propagandistiche, di controllo e di rafforzamento dell’immagine del Duce e del partito fascista.
Solo alla fine della guerra furono abolite queste disposizioni e, per evitare che la storia si ripetesse, nell’articolo 21 della nostra Costituzione si legge esplicitamente che: “Tutti hanno diritto di manifestare liberamente il proprio pensiero con la parola, lo scritto e ogni altro mezzo di diffusione. La stampa non può essere soggetta ad autorizzazioni o censure”.
È quasi impossibile non trovare punti di contatto tra la censura italiana del ventennio fascista e quella che Putin sta attuando già da diversi anni, con l’eliminazione fisica di oppositori e giornalisti a lui contrari, e ancor più in questi giorni. Viene naturale chiedersi, quindi, fin dove potrà spingersi quello che ormai viene definito “lo Zar russo” e quali possano essere le conseguenze di questa politica illiberale, sperando di non vedere nuovamente il terribile esito che la censura ha avuto in Italia.
Non è più accettabile il pensiero di Platone, che considerava la censura un elemento necessario della sovranità: per fortuna, per noi giovani del mondo libero e connesso, quel modo di pensare e di concepire il potere è ormai finito.
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COLLABORAZIONE / CMNT – di Sofia Megale